Nel corso di un’intervista concessa a Luca Telese pubblicata su L’Unione Sarda, Tommaso Giulini ha ripercorso i suoi 10 anni da presidente del Cagliari Calcio, e ha raccontato di un litigio, l’unico, con l’indimenticabile Gigi Riva.
«Era il 2020, poco prima della pandemia» ha ricordato il presidente rossoblù.
«Insieme a Nicola, suo figlio, eravamo riusciti a convincerlo a fare il presidente onorario.
Io ero al settimo cielo. La squadra in un momento magico.
Anche lui pareva felice. Avevamo già fatto un comunicato.
Arrivavano a Gigi messaggi di congratulazioni da tutto il mondo.
All’improvviso mi chiama: “Dobbiamo parlare subito, vieni a casa?”.
Certo, Gigi. Ero nell’altro capo dell’Isola, corro».
Contento?
«L’esatto contrario. Mi apre, scuro in viso: “Tommaso! Ho cambiato idea”.
Chiedo, incredulo: “Come?”. E lui: “Da quando abbiamo deciso non dormo più la notte. Troppo stress. Rinuncio”.
Io gli rispondo, e faccio male: “Ma i tifosi ci resterebbero male! La notizia è già in tutti i Tg”.
Si arrabbia: “Ho detto dodici no ad Agnelli! Pensi che non possa dimettermi ora?”.
Sembra un film… Non dimenticherò mai la scena.
Gigi inizia a ricordarci tutti i no della sua vita, dal 1968 al Mondiale del 2006.
Rimaniamo incantanti, uno spettacolo.
Ma capisco allora che quel racconto era il vero cardine di tutta la sua storia.
Dietro il campione, una muraglia di grandi rifiuti, dal collegio al calcio».
E poi?
«Emergenza. Chiamiamo per sms due dei suoi migliori amici, Tomasini e Camba, del gruppo degli ex rossoblù.
E ovviamente Nicola. Gigi sta ripetendo: “No, no, no!”.
Suonano alla porta. Lui apre. Sono Thomas e Sandro, che fanno finta di non sapere, lo abbracciano, e in coro gli dicono: “Possiamo già chiamarti presidente?”.
E lui? Si siede, crolla in poltrona, affranto: “Vi ci mettete anche voi! Ma è un incubo!”.
E a questo punto capiamo la sua passione per il calcio, la sua dedizione per la squadra.
“Mettere in gioco il mio nome, a 80 anni, per me significa rischiare tutto! Era un no irrevocabile.
Ma a questo punto Tomasini gli si siede davanti, faccia a faccia, e gli fa: “Ma Gigi! Tu stai facendo un regalo simbolico alla tua città! È come nell’anno dello scudetto. Non rappresenti solo te stesso! Tu sei di nuovo tutti noi!”.
Geniale».
E come finisce?
«Sandro e Thomas lo abbracciano. Gigi ha le lacrime agli occhi.
Si lascia ricadere nella poltrona, si accende una sigaretta, ci soffia una nuvola di fumo in faccia e mi dice: “Tommaso…. Me ne pentirò, lo so già. Ma Beppe ha ragione, accetto”».
Per fortuna non se ne è pentito, è stato festeggiato.
«A me è rimasta addosso quella lezione di attaccamento, di devozione. Di severità con se stessi, nel misurarsi.
E quando lui ci ha lasciato ho capito meglio: la troppa leggerezza a volte è un handicap.
Ho preso quell’intransigenza, l’irriducibile e spigoloso rigore di Gigi come un regalo per la vita.
Avrei voluto filmare per poterlo mostrare ai ragazzi di oggi: “Guardate, questo era Riva”».