“Fino a 18 anni non avevo mai fatto una partita a 11.
Un giorno ero andato a fare un torneo notturno a 7 con alcuni amici, abbiamo fatto tre partite incontrando anche la squadra di don Antonio, responsabile dell’oratorio di Verdello, e ci hanno battuto.
Poi, il giorno dopo, il don è venuto a casa mia per chiedermi se accettavo ventimila lire al mese per giocare nel Verdello, nei dilettanti.
E così cominciò la mia carriera calcistica”.
A parlare è Angelo Domenghini, che negli scorsi giorni a San Pellegrino Terme ha ricevuto un riconoscimento alla carriera.
“All’epoca lavoravo come operaio per sessantamila lire al mese – ha aggiunto Domenghini -, i miei genitori gestivano una trattoria a Lallio.
Dopo il campionato con il Verdello arrivò l’Atalanta che mi offrì 150 mila lire al mese.
Ci andai di corsa”.
Classe 1941, ala e attaccante di grande prestanza fisica e dinamismo, Domenghini, oltre a parlare del suo periodo all’Atalanta e all’Inter, ha ricordato la sua avventura in Sardegna, dove il primo anno fu tra i protagonisti dello storico scudetto del Cagliari.
La Sardegna diventata la sua casa.
“Al Cagliari avevo come mister Manlio Scopigno, che poi mi ha voluto alla Roma.
In terra sarda ho solo ricordi belli, e poi lì c’è il mare più bello del mondo.
Lo posso confermare, anche se non ho una barca (ride).
La mia vita, oggi, si divide tra Lallio e la Sardegna“.
Domenghini ha ricordato anche il Mondiale in Messico del 1970, con la finale persa contro il Brasile 4-1.
“Tutti si ricordano la grande vittoria in semifinale 4-3 contro la Germania, ma si va a giocare ai Campionati del Mondo per vincere, non per fare le figurine.
Avrei pagato qualsiasi cifra per vincere quella finale.
Il Brasile troppo forte? No, potevamo farcela! Al 65° eravamo ancora sull’ 1-1.
Dall’altra parte c’era uno come Pelè, è vero, ma noi avevamo davanti giocatori come Boninsegna e Riva“.