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Davide Nicola: “Obiettivi? Ci sono molte condizioni per immaginare un ciclo”

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Nel corso di un’intervista a Luca Telese per L’Unione Sarda, l’allenatore del Cagliari, Davide Nicola, oltre a commentare l’attuale situazione della squadra rossoblù, ha anche parlato della sua sfera personale, dai ricordi alle ambizioni.

“Ho trovato un gruppo meraviglioso, caratterizzato da una fortissima identità – ha dichiarato Nicola.
Loro sanno già che tante cose cambieranno, lo stiamo già facendo, ma questo spirito va preservato. 
Ho avvertito subito dedizione al lavoro, senso di appartenenza, identità: i più esperti me lo dimostrano senza risparmiarsi.
Vedo già potenzialità importanti.
C’è da lavorare, ma hanno i numeri per raggiungere la consapevolezza di quel che dovranno essere a Cagliari.
Qualcuno andrà a maturare altrove, qualcuno è già andato, altri arriveranno perché io, il direttore, e la società abbiamo le idee chiare su cosa va fatto e cosa ci serve”.

Sugli obiettivi per la stagione, glissa:
“So che già solo restare senza soffrire nell’élite delle prime venti squadre del calcio è un’impresa meno scontata che in passato. Tuttavia, i miracoli non esistono, si costruisce tutto con il lavoro e con il tempo.
So bene quale è il nostro obiettivo, oggi, ma ci sono molte condizioni per immaginare un ciclo“.


IL SUO LEGAME CON L’ISOLA
“La Sardegna l’ho scoperta da bambino grazie ad Abele Atzori, un caro amico che mio padre andava a trovare a Piscinas, nel Sulcis-Iglesiente.
Quando tornava ci raccontava di questa terra meravigliosa, grazie a quei racconti avevamo negli occhi il mare, il sole, i cespugli di mirto e i fichi d’india.
Mi sono innamorato di questa terra già allora.
Abele ha sempre avuto con lui e con noi un rapporto tale da raccontarci la Sardegna con enorme passione.
Grazie a lui so che il Cagliari è molto più di una squadra, l’identità del popolo di cui parlava Gigi Riva”. 

NUOVA SFIDA, NUOVI STIMOLI
“Se si guarda la mia carriera si copre che le stagioni in cui sono subentrato sono meno della metà.
Io sono passato da Lumezzane a Livorno a Crotone a Torino, Genova e Udine, allenando con relativa tranquillità.
A parte Torino, dove già sapevo che non saprei potuto restare, lottavo per ripartire una volta conquistata la salvezza.
L’ho fatto a Salerno: fui confermato, e quell’anno la Salernitana non è stata mai in zona retrocessione.
Dopo la mia carriera da calciatore, ho passato più tempo ad allenare sereno in Serie A, che impegnato nelle salvezze impossibili.
Per questo l’etichetta di “Uomo dei miracoli”, anche quando può sembrare utile, o lusinghiera, non mi interessa”.

LA FAMIGLIA
“Mio padre è stato un grande esempio, per me. Io sono un po’ come lui: irrequieto dentro, appassionato, desideroso di fare e provare.
E poi lui ha avuto ragione su di me: gli orizzonti di libertà che cercavo, istintivamente, per crescere, li ho poi ritrovati nei rettangoli verdi dei campi di calcio
Mia madre ora si può godere con mio padre la pensione, ma ha lavorato per quasi tutta la vita a Vigone, come Oss, un lavoro duro, che amava tanto.
La passione totale di assistere gli altri, una generosità nel dare, per me quasi stupefacente. 
Nella mia famiglia il primo insegnamento è stato questo: niente si conquista senza fatica, passione e lavoro duro.
Prima di qualsiasi altra cosa viene il merito.
È stata la prima lezione della mia vita, la condivido in pieno, è quella che provo a trasmettere anche a chi lavora con me”.

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