“Ho telefonato a Ranieri prima della partita con il Bari. Mi raccomando, gli ho detto, guarda che tutta l’Isola è a tuo favore. Lui era un po’ commosso e un po’ teso per la gara”.
A parlare è il nostro Gigi Riva, che nel corso di una lunga intervista al Corriere della Sera ha ripercorso la sua carriera, ben rappresentata nel docufilm “Nel nostro cielo un rombo di tuono”, arrivato anche su Sky.
“Il film l’ho visto solo all’anteprima e ho una gran confusione in testa, ero emozionatissimo. Devo rivederlo da solo in casa con calma“, ha ammesso Gigi Riva.
“Il ricordo più bello? Beh, lo scudetto – ha risposto Gigi Riva. Avevamo festeggiato con tutta la squadra. Gli scapoli vivevano insieme in una foresteria e i tifosi venivano anche di notte a tenerci svegli“.
Era il 12 aprile 1970 e sul campo dell’Amsicora Rombo di Tuono infilava con Bobo Gori i due gol della vittoria allo stesso club contro il quale i rossoblù di Claudio Ranieri hanno appena riconquistato la Serie A.
Nato in Lombardia, però si considera sardo. “Io sono sardo – ha precisato Gigi Riva – perché sono di poche parole, spesso e volentieri ho il muso, mi preoccupo per i problemi di questa terra bellissima e reagisco a modo mio”.
“L’angolo del cuore? Forse il tratto tra Pula e Villasimius.
Di notte ci andavo in macchina, magari per fare una passeggiata, e ascoltavo la musica.
Mi è sempre piaciuto guidare l’auto, avevo una macchina potente: ricordo certi viaggi da Cagliari a Oristano, con qualche amico la sera per fare un giro. Un bel periodo“.
Oggi quale squadra le piace? “Non seguo più il calcio. Cagliari a parte – ha precisato Gigi Riva -, mi piace solo la Nazionale”.
“Le partite più belle? Le partite importanti erano quelle di campionato contro Juventus, Milan e Inter: quando le battevi era una bella soddisfazione“.
Tutti lo volevano e lui, testardo, non ha ceduto nemmeno al miliardo offerto dalla Juve.
Gigi Riva ride. “Quando Arrica, il mio presidente, scoprì che non andavo, non fu contento per niente.
Ma non sono testone: io ero una persona chiusa, avevo avuto un’infanzia tragica, i miei genitori erano mancati presto.
Poi sono venuto a Cagliari e abbiamo costruito una gran bella cosa: lo scudetto era il sogno di ogni squadra”.
Realizzato con Manlio Scopigno. “È stato un maestro, un fratello maggiore: mi ha insegnato a vivere – ha commentato Gigi Riva. Mi diceva: perché ti incavoli? Vieni, risolvi il problema. Lo sogno ancora”.
Il suo rammarico: “Mi spiace solo di non aver dato ai miei genitori niente delle soddisfazioni che mi sono tolto io, non ho potuto farli partecipare, non hanno vissuto quel periodo, anni meravigliosi. È un vero dispiacere“.
Come va con Gianna, la mamma dei suoi figli Nicola e Mauro? “Bene. Mi viene a trovare tutti i giorni. Era un nostro desiderio: per me è un punto di riferimento“.
Ha perdonato Norbert Hof, il ‘boia del Prater’ che le spezzò una gamba durante Italia-Austria nel 1970?
“Ma sì, l’ho perdonato. Certo, poteva evitare quell’entrata. Però dopo due anni mi sono fratturato un’altra volta e lì mi sono fatto male da solo…”.
Digerito il Pallone d’oro dato a Rivera?
“No, non ancora. Mi era stato promesso che l’anno dopo sarebbe toccato a me e poi invece mi sono fatto male”.
Le ammiratrici di allora? “Aspetto ancora un po’ prima di raccontare le follie che hanno fatto – ha commentato Gigi Riva -, cose che non erano normali…”.
La maglia alla quale è più affezionato? “Ne ho di tutti colori, ma per me la maglia più bella resta quella bianca, pulita, senza sponsor, dello scudetto“.
Se rinascesse sceglierebbe di nuovo la Sardegna? “Quello che ha reso per me tutto speciale è che ero sardo tra i sardi: ovunque andassi, da Alghero o Sassari a Cagliari, ero uno di loro“.