“Un sorriso che ne eterna il volto e una luce negli occhi che non invecchia mai“.
La Repubblica descrive così il nostro mister Claudio Ranieri, che ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano, quando mancano poco più di dieci giorni al ripartenza del campionato.
“Ho deciso che il Cagliari sarà l’ultima squadra che allenerò“ ha confermato il mister, che ha aggiunto:
“Farei un’eccezione soltanto per una nazionale intrigante, e preciso che non mi sto candidando alla panchina azzurra”.
“Sì, smetterò a Cagliari, ma non so quando – ha precisato -, magari resisto vent’anni.
Scherzi a parte, questo è il posto giusto per smettere, mi sento di chiudere finalmente un cerchio.
Qui è cominciata la mia carriera, perché quando il Cagliari mi chiamò 35 anni fa, era la scommessa della mia vita.
Potevo bruciarmi, neanche sapevo se avrei fatto l’allenatore.
Cominciammo con l’idea di provare a tornare in B nel giro di un paio d’anni, invece in quei due anni passammo dalla C alla A.
Da allora ho Cagliari dentro“.
“Nel mio ritorno ha influito molto Gigi Riva – ha dichiarato Sir Claudio.
Prima che venissi, Riva ha detto una sola cosa: ‘Ranieri è uno di noi‘.
L’ultima volta mi ha chiamato mentre stavamo entrando nello spogliatoio di Bari, la sera della finale play-off e ha detto: ‘Dì ai ragazzi che hanno tutto il nostro popolo con loro‘.
È stata come una benedizione“.
“Finché lavoro sono pimpante – ha spiegato Ranieri.
Allenare mi tiene giovane, al passo con i tempi.
Io cambio come cambia il calcio, mi adeguo, mi aggiorno, non mi sento distante dalle ultime tendenze.
Forse la mia forza è proprio il cambiamento.
Mi sento un allenatore moderno, europeo, e in più ho un’esperienza che serve eccome.
Per me il calcio è semplice, sono gli allenatori che lo rendono difficile.
Una cosa che non sopporto? Il fatto che per forza di cose si debba iniziare l’azione dal basso.
Non lo capirò mai, tanto poi tutti studiamo come impostano e cerchiamo subito di rubare palla.
All’oratorio giocavo a basket e il gioco era prendere e tirare: perché devo tenere per ore la palla invece di farla arrivare il prima possibile a quelli che negli ultimi 20 metri fanno la differenza?
L’azione più bella è rinvio del portiere, tiro, gol. Rapido e indolore“.
“Perché sono amato? Credo che sia perché do rispetto e di conseguenza ne ricevo – ha risposto.
Sono stato apprezzato anche quando non ho vinto, forse perché non mi sono mai tirato indietro.
E poi forse conta il fatto che mi sono sempre comportato bene, che se perdo perché gli altri hanno giocato meglio lo riconosco, che non cerco scuse, che non corro dietro all’arbitro per dare la colpa a lui o magari alla pioggia.
Il risultato è la prima cosa.
Ma ai giocatori dico: ‘se date tutto, accetto qualunque verdetto‘.
Ecco: la vittoria è dare tutto e avere la coscienza a posto”.